Il Silos granario di Livorno, il gigante ritrovato - Uni Info News

2022-08-27 04:20:24 By : Mr. Tom Zhang

Un tuffo nel tempo quello che è stato reso possibile grazie all’impegno di Lorenzo Riposati, che ci ricorda Livorno come un porto, una piattaforma, un crocevia, una mira per gli investimenti. Non solo, era una città resiliente, dove si riusciva costruire in tempi difficili come quelli del primo ventennio del Novecento, caratterizzati anche da un’economia instabile e dall’epidemia di febbre spagnola.

Considerare il bene culturale come un tesoro che risale ad anni passati, una testimonianza antica salva per miracolo, è in parte riduttivo. Viviamo in un’era che permette grandi innovazioni e la società fluida che stiamo costruendo non guarda con simpatia gli incasellamenti rigidi e le definizioni artificiose. È importante, se non fondamentale, puntare alla valorizzazione di ciò che esiste in ogni territorio, caratterizzandolo, senza sentirsi legittimati a trascurarlo perché non corrisponde a canoni di ‘antichità’ o ‘preziosità’.

Il Silos granario di Livorno ne è un esempio: unico nel suo genere e uno dei quattro presenti in tutta Italia (Genova, Livorno, Napoli e Civitavecchia) è memento di uno stile costruttivo solido, elegante e funzionale che dialoga in maniera  globale e dialettica col tessuto urbano.  L’edificio rappresenta uno specchio di quel periodo storico e può rappresentare un ponte verso un nuovo momento: le mire industriali trovarono massimo sviluppo in questo secolo  e l’azione intrapresa dall’Authority va ben oltre questo, nella volontà di rendere il sistema portuale volano della ripresa e dello sviluppo turistico.

Le eredità del passato sono un dono che aspettano pazientemente di essere riscoperte, testimonianze preziose di vite passate che oggi sembrano incoraggiarci e stimolarci all’azione. Ma se l’Ottocento è un secolo ancora poco considerato, il Novecento lo è ancora di più nonostante i giganti che ha prodotto all’alba delle nuove tecniche costruttive. Migliaia di esempi nel mondo rappresentano una caccia al tesoro per gli appassionati e per i lungimiranti che riescono a riscoprirne le potenzialità. Ne è esempio anche il Silos Hennebique di Genova, primo in Italia ed al centro di un ampio discorso di archeologia industriale e recupero urbano.

Queste strutture, molto più di altre, sono capaci di trasmettere forti emozioni perché si legano alla vita della società ancora presente: le persone si ricordano il silo in funzione, o si ricordano i racconti che glielo hanno fatto conoscere.  Troppe volte si dimentica la forza di connessione col territorio e con le sue persone di questi edifici realizzati in maniera così salda da sovrastarci tutt’oggi.

Questi input sottili sono percettibili tra le maglie della storia solo grazie a una spiccata sensibilità, spesso riservata a pochi. Tra questi vi sono coloro che hanno reso possibile questa riapertura portando avanti il progetto di rivalorizzazione del Silos per più di quattro anni. Il traguardo è infatti il risultato dell’intento comune di più enti: l’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Settentrionale, la Fondazione Livorno Arte e Cultura, l’Archivio di Stato di Livorno, la Regione Toscana, il Comune di Livorno e il Genio Civile per le Opere Marittime, ed ha dimostrato quanto un’idea forte possa far rivivere la città dandole nuove prospettive.

Grazie a questa sinergia è stato possibile riconoscere nuovamente questo gigante labronico che, pazientemente, guarda dall’alto della sua torre il brulicare delle attività al Terminal Crociere ed alla Fortezza Vecchia, tra imbarchi e manovre. Attivo dal 1924,  fu realizzato su progetto e supervisione dell’ingegner Cristoforo Bozano col cemento armato del Sistema Hennebique, introdotto in Italia a inizio secolo da Porcheddu e prodotto dal premiato stabilimento labronico (Medaglia d’oro alla Mostra Edilizia Moderna di Torino nel 1922). Il progetto venne realizzato in modo da poterlo facilmente ampliare all’occorrenza, come il silos di Napoli, ed è costituito da un corpo a pianta quadrata smussato all’angolo sud con annesso il settore per gli uffici e la torre degli elevatori alta più di 45m.

Con una capienza di 12.000 tonnellate, i suoi 24 cilindri (dei quali 15 intermedi e una cella speciale perimetrale) costituivano uno spazio per il deposito ed il punto di riferimento e convoglio del prezioso grano, che veniva gestito grazie a macchinari all’avanguardia che ne permettevano l’areazione e la sistemazione. Gli elevatori da nave sono del tipo a nastro con “tazze continue” alti 24 metri e capaci di elevare 100 tonnellate di grano all’ora, che veniva trasferito nelle stive delle navi attraverso meccanismi, congegni ed un tubo telescopico capace di allungarsi ed accorciarsi all’occorrenza. I nastri erano azionati tramite motori elettrici e il corredo logistico era completato da due imponenti elevatori da nave da circa 80 tonnellate l’uno. Il contesto della banchina era strettamente legato poi alla stazione marittima di Livorno, ai suoi magazzini e a quell’antico sistema logistico dei navicelli che rimanda alla formazione di una buona parte della città.

Era il momento d’oro del cemento armato, il materiale che ha cambiato la storia della costruzione: Bonzano con questo Silos riuscì a coniugare la funzionalità al gusto estetico tipico di quel periodo nella consapevolezza che un’opera architettonica completa è funzionale ma anche coerente a livello stilistico e logistico.

Sono poche le città che possono vantare decori e ringhiere liberty su un silos, e ancora meno quelle che contano paraste e mezzi capitelli in bassorilievo: Livorno può. Oggi inoltre si può leggere questa storia grazie al volume “Il Silos granario nel porto di Livorno, da architettura dell’economia a Landmark Urbano” edito da Pacini con il contributo dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Settentrionale e della Porto Immobiliare srl.

Grazie ad interventi multidisciplinari di storici, architetti e ingegneri, questo volume ci permette di scoprire e consolidare le conoscenze che abbiamo sulla città attraverso i testi di M. Sanacore, O. Vaccari, G. Madalis e D. Ulivieri, A. Cecconi, S. Landi, F. M. Lorusso e J. Schaub che apportano informazioni preziose e  nuove per creare fondamenta storico-sociali utili soprattutto per il periodo della ripresa.

Questa riapertura può presentare nuove prospettive, magari divenire uno spazio espositivo, e può rappresentare realmente un primo passo per rendere Livorno una città che, grazie alla valorizzazione, può attuare una riconversione turistico-culturale e divenire un centro espressivo ‘multidimensionale’, come sottolineato dal Presidente della Regione Eugenio Giani e dal Sindaco Salvetti. La visibilità su questo edificio si ebbe già con il progetto “Re-Fact”, come ricordato la Dott.ssa Olimpia Vaccari, che coinvolse università nazionali ed internazionali focalizzando l’area di progettualità proprio su questa zona portuale confermandola come area non solo interessante ma carica di possibilità per instaurare nuovamente un dialogo con la città.

Se la pandemia che stiamo vivendo ci ricorda che siamo tutti interconnessi, la riapertura del Silos si pone come primo passo per garantire che la valorizzazione diventi una risorsa effettiva per il futuro della città.

Sarà possibile visitare il Silos grazie alle visite organizzate dalle Guide Labroniche. Questo articolo è stato realizzato con supporto del testo di D. Ulivieri “Architettura industriale d’autore. L’ingegnere genovese Cristoforo Bonzano e i Silos Granari di Livorno” nel volume “Il Silos granario nel porto di Livorno, da architettura dell’economia a Landmark Urbano” a cura di A. Cecconi e O. Vaccari.

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