Augusta, rifiuti dal mondo? No di Legambiente alla discarica Gespi

2022-09-17 12:18:02 By : Mr. Zhenchang Wu

AUGUSTA – “Uso esclusivo per le scorie dell’inceneritore di Augusta? Quella in contrada Marcellino è a tutti gli effetti una nuova discarica industriale che chiunque potrebbe usare, in piena zona Sin, e dove secondo il piano Asi non ce dovrebbe essere nemmeno una”. Legambiente tira la sue conclusioni sul progetto presentato dal gruppo Gespi, per smaltire sotto casa le scorie del suo “termodistruttore“ di Punta Cugno. Gli ecologisti hanno presentato le loro osservazioni negative alla Regione siciliana, perché ritengono “improponibile la realizzazione” dell’ennesimo impianto a rischio in un’area che attende le bonifiche, obbligatorie in ogni “Sito interesse nazionale“. L’associazione ambientalista perciò “chiama i cittadini alla vigilanza, appellandosi a tutte le istituzioni perché si operi nell’interesse esclusivo della tutela della salute“. Secondo la loro valutazione, non è sufficiente a giustificare la presenza, il viaggio in Germania che attualmente fanno alcuni inquinanti da smaltire. “La richiesta di deroga per il conferimento di rifiuti, in cui la presenza di contaminanti supera i limiti per l’ammissibilità in discarica, viene motivata solo con ragioni economiche; a nostro parere, le ragioni di sicurezza e della salute delle persone dovrebbero prevalere”, scrivono in un comunicato diffuso il 15 settembre.

L’articolato documento di Legambiente getta inoltre una luce ambigua sulla posizione dell’amministrazione Giuseppe Di Mare, alla quale Gespi ha spesso contribuito come sponsor per il cartellone spettacoli, e non solo. Nei giorni scorsi, già Stop veleni e Rinnova Augusta avevano contestato la mancata pubblicazione del progetto sull’albo pretorio. Nonostante lo imponesse una legge del 2006, per dar modo alle popolazioni delle aree a rischio di far sentire la loro voce. Invece la nuova discarica per rifiuti industriali è apparsa solo sul sito della Regione, il 14 luglio scorso. Eppure l’assessorato regionale Ambiente, nel provvedimento di “avvio fase di consultazione”, aveva espressamente prescritto che “dell’avviso al pubblico dovrà essere data informazione anche nell’albo pretorio informatico del Comune di Augusta, che dovrà tempestivamente dare notizia di tale informazione a questo Servizio”. Una mancanza che l’associazione ambientalista ha “preliminarmente” fatto pesare nelle sue contestazioni formali, perché “non sarebbe stata adeguatamente assicurata la possibilità agli eventuali interessati di presentare osservazioni e proposte”.

Palazzo di città riconosce la mancanza, anche se la considera ininfluente, respingendo sospetti e polemiche. “L’adempimento è sfuggito agli uffici per un banale incidente nella assegnazione della posta, e in ogni caso la pubblicazione in albo pretorio non è competenza del sindaco“, replica Di Mare. Aggiungendo di aver “sentito la Regione, che comunque considera prevalente la pubblicazione nel proprio sito, cosa avvenuta regolarmente: a riprova, la stessa Legambiente ha presentato delle osservazioni direttamente alla Regione”. Il primo cittadino polemizza a sua volta con gli ambientalisti, che si affidano al clamore dei comunicati stampa invece di consultarlo discretamente per risolvere il problema. “In ogni caso rilevo che la mia porta sarebbe stata apertissima, a qualunque associazione si fosse presentata per trattare la questione: cosa che non è avvenuta”, puntualizza il capo dell’amministrazione. Facendo sapere che “appresa la notizia, stiamo esaminando la vicenda in vista della Conferenza dei servizi, di prossima convocazione da parte della competente struttura regionale”. Il Comune quindi non si sbilancia, nonostante la documentazione sia da mesi nei suoi tavoli. Eppure, è proprio in questa fase di consultazione, che eventuali osservazioni andrebbero presentate. Vale tanto per cittadini e associazioni, quanto per gli stessi Enti.

“Infatti è prematuro parlare di conferenza dei servizi, quando ancora deve pronunciarsi la commissione tecnico-scientifica“, dice Enzo Parisi. Il portavoce di Legambiente fa notare che “al Comune hanno da maggio la documentazione, ma non hanno chiesto nulla”. Eppure di punti da chiarire ce ne sarebbero stati, secondo quanto ha formalizzato l’associazione ambientalista alla Regione. “L’area dove si propone di ubicare la discarica è destinata dal vigente Piano regolatore Asi all’insediamento della ‘grande industria‘, con requisito di occupazione della superficie di almeno 7 ettari”. Invece la Log service, che ha presentato il progetto, “non appare definibile come ‘grande industria’ e l’opera occuperebbe una superficie inferiore a 3 ettari”. Ma non solo questione di una piccola Srl che si vuole accomodare nelle aree destinate alle multinazionali. Il fatto è che le discariche possono essere fatte solo da tutt’altra parte, rispetto al vecchio limoneto comprato al confine coi serbatoi della Sasol. “Le zone che il Prg Asi assegna per gli impianti di trattamento dei rifiuti sono distanti e diverse da quella proposta dalla ditta, come si può accertare dall’esame della tavola 10b”.

Poi ci sono i dubbi di Legambiente sulla opportunità di realizzare in area Sin da bonificare, un nuovo invaso da 150 mila metri cubi di rifiuti speciali pericolosi. “Il Piano di risanamento ambientale prevede il depotenziamento dei rischi e la riduzione degli impatti, anche attraverso la bonifica delle discariche esistenti e la limitazione all’insediamento di nuovi impianti”. Invece, dice il comunicato ambientalista, “appaiono assenti la stima e la valutazione sia delle emissioni inquinanti, sia di quelle odorigene prodotte nella fase di esercizio della discarica, nonché il loro sommarsi e interagire con quelle già esistenti causate dalle vicine attività del Petrolchimico“. Il documento ritiene che “queste carenze non sono accettabili, poiché entrambe le tipologie di emissioni sono elementi che già determinano il depauperamento della qualità dell’aria“. In sostanza manca uno studio sulle scorie dei forni inertizzate mischiando calce e cemento, che certifichi fino a che punto siano state rese innocue. “Neppure è esaminata e valutata la sommatoria degli impatti con impianti di trattamento rifiuti presenti nelle aree vicine”, dove già opera la discarica della Cisma. Nonché l’impianto di riciclo plastiche della Ecomac, recentemente coinvolto in un disastroso incendio che ha steso una imponente nube nera sopra la zona industriale.

Ma, aldilà delle sanabili carenze nell’istruttoria, a preoccupare gli ambientalisti sono i possibili sviluppi del piano aziendale. “Anche se oggi una discarica serve esclusivamente a una ditta, domani quel ramo di impresa potrebbe essere venduto”, ragiona Parisi. Perciò quando “il proponente afferma che la discarica è a servizio ‘esclusivo’ dei rifiuti prodotti dall’impianto di termodistruzione della Gespi, tale dichiarazione non costituisce un impegno inderogabile, né la garanzia che in discarica non verranno abbancati i rifiuti provenienti da altre aziende“. Se non addirittura “da altre aree del Paese, dell’Europa o del mondo”. E’ una diffidenza che nasce dall’esperienza. “La storia ci dice che ogni qualvolta hanno rilasciato autorizzazioni, con la clausola di ricevere e trattare rifiuti ‘esclusivamente’ o ‘preferibilmente’ provenienti dall’area a rischio o limitrofa, le ditte ne hanno ottenuto la cancellazione presso i tribunali amministrativi“. Un escamotage cui hanno già fatto ricorso tutti gli investitori, salvando sia la capra dei politici di riferimento alle prese coi timori degli elettori, che i cavoli delle loro aziende. Infatti la legge permette di imporre ambiti geograficamente circoscritti agli affari delle discariche, solo per i rifiuti urbani. Sugli scarti industriali, invece, la normativa lascia mano libera al business. E i Tar non possono che certificarlo, rimuovendo limitazioni usate come un cavallo di Troia.

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