ASSOCIAZIONE A DELINQUERE. Ecco perchè c’è per Nicola Schiavone monaciello, altri 5 suoi accoliti e per 5 dirigenti Rfi e perchè non c’è, secondo il gip, per altri 6 indagati – CasertaCE

2022-09-17 12:17:30 By : Ms. Ava Yang

Andiamo verso la parte finale dell’ordinanza. Oggi ci soffermiamo sulla contestazione dell’associazione a delinquere in quanto tale, domani chiuderemo la trattazione di questa ordinanza, durata 4 mesi e mezzo, con l’esposizione delle ragioni per le quali la gip del tribunale di Napoli Giovanna Cervo, aveva riconosciuto come sussistenti i gravi indizi di colpevolezza per i reati di camorra prima che il tribunale del Riesame li azzerasse in sede di ricorsi presentati dai difensori di quelli che comunque, stamattina a Napoli, sono comparsi stavolta da imputati nell’udienza preliminare di cui che abbiamo presentato in un altro articolo e di cui vi daremo ancora conto più tardi

CASAL DI PRINCIPE – (g.g.) La parte finale della porzione dell’ordinanza, chiesta ed ottenuta dai magistrati della Dda di Napoli ed inoltre eseguita il 3 maggio scorso, relativa alla parte dell’indagine imperniata sulla figura di Nicola Schiavone detto monaciello, 68 anni di Casal di Principe, divenuto una sorta di mattatore degli appalti più significativi dell’azienda di stato Rete Ferroviaria Italiana, si chiude con le decisioni assunte dal gip in sede di emissione della sua ordinanza, relativamente ai reati pi gravi, contestati a quelli che al tempo erano solamente indagati.

Stiamo parlando dell’associazione a delinquere e di quella specifica tipologia della stessa quando viene qualificata come associazione a delinquere di stampo mafioso o camorristico che dir si voglia.

Oggi partiamo dalla contestazione generale e non ci occupiamo dell’aggravante cioè della caratteristica dell’associazione a delinquere che pone l’indagato nella condizione di essere stato totalmente parte o esternamente concorrente oppure ancora attore di azioni criminali che hanno favorito gli interessi dei clan, in una gradazione di responsabilità definita dalle varie parti dell’articolo 416 bis, il quale, come abbiamo scritto già un centinaio di volte, ha recentemente assorbito anche l’aggravante, cioè la terza condizione, una volta regolata dall’articolo 7 della legge 152/91.

Scriveremo poi domani, giovedì, in occasione dell’ultimo articolo di questo nostro lungo focus durato quasi 4 mesi e mezzo, ma delle possibili implicazioni camorristiche, su cui la Dda non ha fatto un passo indietro, nonostante la decisione, assunta, durante questa estate, dal tribunale del Riesame di Napoli che invece non ha considerato sufficienti gli elementi esposti nell’ordinanza per considerare sussistenti i gravi indizi di colpevolezza,

Dunque, dicevamo, l’associazione a delinquere nuda e cruda. Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Napoli Giovanna Cervo spiega prima di tutto perchè ha deciso di esaminare gli elementi che informano la richiesta di applicazione delle misure cautelari, presentata a suo tempo dalla Dda, solo successivamente allo speculare lavoro compiuto intorno alla necessità di pronunciarsi sui gravi indizi di colpevolezza per i cosiddetti reati scopo, cioè per i reati di corruzione, di turbativa d’asta, di falso, di intestazione fittizia eccetera, conseguenza del presunto patto criminale, elemento costitutivo del sodalizio associativo.

Il giudice ritiene, infatti, che l’analisi dei diversi capi di imputazione provvisori, riguardanti i reati-scopo, sia importante per costituire e perfezionare un quadro di conoscenza dei fatti che poi diventa determinante anche nel momento in cui si va ad analizzare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il reato associativo.

Naturalmente, il gip mette subito le carte in tavola e non si risparmia nella pubblicazione dei contenuti cardinali della giurisprudenza più recente e più evoluta sull’articolo 416 del codice penale. Da questo punto di vista, la Cassazione stabilisce e traccia il perimetro: affinchè il rapporto tra un numero di persone non inferiore a 3 sia qualificabile come reato di associazione a delinquere e non appartenga, invece, alla categoria molto più ampia e meno grave, del semplice concorso in un reato, così come questo è regolato dall’articolo 110 del codice penale, occorre la presenza visibile, evidente, dimostrabile di 3 elementi: un vincolo associativo stabile, indeterminatezza del programma criminoso e esistenza di una struttura organizzativa sia per minima ma idonea al raggiungimento dello scopo.

Beninteso, non è che il gip lo scriva così, non è che presenti questi contenuti giurisprudenziali in maniera secca e laconica. Noi ci siamo limitati a sintetizzarli, mettendo però, come sempre a disposizione dei nostri lettori il testo integrale dello stralcio dell’ordinanza relativo alla questione di cui stiamo discutendo e scrivendo stamattina.

I pubblici ministeri della Dda avevano chiesto il riconoscimento dell’esistenza di gravi indizi di colpevolezza per 17 indagati. Il gip ha riconosciuto gli elementi definibili come gravi indizi di colpevolezza per 11 di questi 17. Precisamente per Nicola Schiavone monaciello, per il fratello Vincenzo, per il prestanome, nonchè elemento tecnicamente e professionalmente importante della struttura criminale Carmelo Caldieri, detto Leo, per l’altro prestanome professionista Luca Caporaso, per Claudio Puocci da Casal di Principe che Schiavone utilizza in pratica solamente per gestire la Itep, cioè una delle due società stra-direttamente riconducibili a lui (l’altra è la TEC srl), e per Vincenzo Bove, vero factotum, autista ma soprattutto prezzemolino versatile che, nonostante i consigli che a Bove venivano elargiti dal suo amico e concittadino di Sant’Anastasia Carlo Romano, personaggio non del tutto codificabile, non indagato in questa vicenda ma comunque ascoltato dagli inquirenti, le buste con mazzette corruttive le portava eccome a chi gli veniva indicato da Nicola Schiavone e come abbiamo visto nell’ultimo caso (CLIKKA E LEGGI) da Carmelo Leo Caldieri.

Insomma, il gip identifica il blocco d’avanguardia del sistema fondato da Nicola Schiavone. Oltre a lui ci sono il fratello, il quale si muove nell’ombra in quanto la condanna a due anni di reclusione, inflittagli nel processo Spartacus è ancora più pregiudizievole, nel caso in cui lui si fosse reso più visibile, ma anche perchè non possiede nemmeno l’unghia del talento organizzativo e diciamocela tutta, anche del carisma, pur aberrante, che riempie il bagaglio umano e diciamo così professionale di suo fratello.

Ma Vincenzo Schiavone è uno defilato, ma ugualmente importante. Dimostra di essere tale sin dai primi anni del ventunesimo secolo cioè quando il fratello non ha ancora messo a libro paga diversi dirigenti di spicco di Rfi. Vincenzo Schiavone è l’uomo più silenzioso dei cantieri che gestisce con grande assiduità ed è colui che va a fare anche il lavoro sporco quando c’è da minacciare l’imprenditore di Sparanise Giovanni Fiocco, il quale cominciava a tirar calci nelle fasi che lo vedevano protagonista di significativi atti di disponibilità per effetto dei quali ad esempio aveva, i riscontro proprio ad una richiesta fattagli da Vincenzo Schiavone acquistata la società la Saret.

Poi c’è Caldieri che, ripetiamo, non è un semplice prestanome o meglio non è solo un prestanome. E’ anche una persona di cui Nicola Schiavone si fida, riconoscendogli competenze tecnico professionali di sicuro spessore. E qui il ragionamento sull’associazione a delinquere è connesso alla lunga militanza di Caldieri e Schiavone, ai tanti marchingegni che vedono Leo Caldieri impegnato a risolvere problemi riguardanti anche imprese diverse dalla TEC srl, così come capita quando induce Umberto Di Girolamo, fratello della moglie, ad assumere la carica di amministratore unico della Itep.

La differenza tra il ruolo svolto da Caldieri e quello svolto da Luca Caporaso si nota proprio nello spazio dedicato dal gip all’uno e all’altro. Su Luca Caporaso, infatti, nel momento in cui viene confermata soprattutto grazie ad una serie di elementi di elementi incrociati e di parole, la circostanza della piena consapevolezza di quest’ultimo di far parte di una costante trama criminale, finalizzata a monopolizzare tutti quegli appalti che interessavano a Nicola Schiavone, senza che questi fossero già segnati in un elenco predeterminato, il gip aggiunge solamente l’elemento discriminante e cioè che Caporaso non era solamente un prestanome, ma svolgeva anche la funzione di segretario e consulente esperto in appalti. Non certo, aggiungiamo noi, al livello e con la cifra di responsabilità espressi da Leo Caldieri.

Infine, Vincenzo Bove che, alla fine del nostro lavoro possiamo definire anche come il più loquace, come colui che ha detto più cose utili all’indagine nel corso delle conversazioni intercettate che l’hanno visto protagonista. Sul fatto specifico relativo al reato associativo, il gip Cervo richiama, come elemento sintomatico della piena consapevolezza che Bove ha di far parte di un’associazione che opera stabilmente per dei fini criminali, una intercettazione in cui Bove parla con suo figlio Francesco: “Se non facessimo così, sai quante porte si chiuderebbero? Perchè parecchio lavoro viene agevolato da parte loro, perchè noi siamo…per il fatturato che facciamo, noi come personale siamo pochi hai capito? La gente non ci conosce e chissà che pensa quante persone siamo…..ma tu quando sei agevolato e non ha una documentazione…dici senti mi leggi un attimo queste carte per controllare e quello ti controlla, se va bene e non bene, non è buono questo fatto?”.

Intanto, l’uso da parte di Bove del pronome “noi” la dice lunga sul fatto che si sente parte di una squadra. Inoltre, Bove non fa riferimento ad un fatto specifico, ad una gara truccata, ad una corruzione effettuata. E neppure a due o tre fatti specifici. Fa riferimento, invece, a un sistema operativo applicato stabilmente affinchè quelle porte non vengano chiuse e affinchè i funzionarie i dirigenti Rfi aggiustino già in origine le carte, i documenti presentati a corredo di una partecipazione di qualche azienda della galassia-Schiavone alle gare d’appalto bandite da Rfi.

E qui effettivamente Bove fornisce un contributo ben calibrato sul contenuto e sui requisiti del reato di associazione a delinquere.

Gli altri 5 indagati per i quali il gip del tribunale di Napoli riconosce l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il reato regolato dall’articolo 416 del codice penale sono i dirigenti o funzionari Rfi Pierfrancesco Bellotti, Giulio Del Vasto, Paolo Grassi, Giuseppe Russo e Massimo Iorani.

In questo caso, il gip non utilizza elementi specifici emersi, come fa invece cn l’intercettazione riguardante Vincenzo Bove. La sua è una trattazione più assertiva che rimanda continuamente al materiale investigativo emerso che, sempre secondo il gip, costituirebbe una evidenza della partecipazione dei 5 al sodalizio criminale.

Come sanno i nostri lettori, quando i giudici cominciano ad “asserire” alla maniera del pm, quando i giudici corredano i propri scritti di troppi copia e incolla, acquisiti dalle richieste di applicazione delle misure cautelari, noi storciamo sempre un pò il muso, perchè abbiamo la sensazione di assistere a degli sbandamenti rispetto a quella che dovrebbe essere la sacralità della terzietà del giudice, già in fase di richiesta di applicazione di misure cautelari.

Però, noi non siamo pigri e questo 450 pagine le abbiamo lette sillaba per sillaba. Una decina di conversazioni che potrebbero essere utili a dar fiato alla decisione del gip di considerare sussistenti i gravi indizi di colpevolezza sui 5 uomini di Rfi le teniamo ben presenti ed eventualmente poi torneremo a citarle in seguito quando la fase processuale iniziata stamattina al tribunale di Napoli, dove si è aperta l’udienza preliminare (CLIKKA E LEGGI) procederà in tutti i suoi capitoli.

Però due cose veloci vanno ricordate: Massimo Iorani, dopo aver villeggiato da re all’Hotel San Pietro di Positano e all’hotel Bellevue Syrene di Sorrento, si imbatte nel problema dell’esclusione, evidentemente realizzata da altri dirigenti non al soldo di Schiavone, del consorzio Imprefer da una gara d’appalto.

Sa di non potersi muovere direttamente e allora, come un vecchio amico, come una persona ormai conosciuta, e aggiungiamo noi accudita da tempo, suggerisce, punto per punto, a Nicola Schiavone ai suoi uomini, come articolare il ricorso al Tar contro quell’esclusione in modo da vincerlo agevolmente. Difficile ritenere che una disponibilità del genere non fosse frutto di un rapporto saldato dal cemento armato temporale, da una frequentazione per la quale Iorani e Nicola Schiavone sono diventati totalmente fiduciosi l’uno nei confronti dell’altro, in quanto consapevoli entrambi di far parte di un sistema, di una storia e non solamente di una singola duplice o anche triplice operazione finalizzata a truccare quello o quell’altro appalto.

La seconda cosa da evidenziare riguarda il contenuto del rapporto tra lo stesso Nicola Schiavone e Pierfrancesco Bellotti. Oltre alle trame relative a fatti specifici, a business collegati a gare d’appalto precisamente individuate, il sodalizio tra i due è letteralmente granitico. Bellotti è in chiara soggezione rispetto a Schiavone perchè essendo lui pronto a tutto pur di far carriera, sa precisamente che Schiavone è in grado di smuovere tutti i fili giusti perchè questo avvenga, perchè sa che Schiavone gli può rendere agevole e fertile il rapporto con il parlamentare del Pd Salvatore Margiotta, per anni vicepresidente e uomo forte della commissione parlamentare delle infrastrutture, alle rete ferroviarie, ma soprattutto presidente di un’associazione datoriale degli armamentisti, cioè di tutti gli imprenditori che forniscono a Refe Ferroviaria Italiana le grandi attrezzature, i prodotti per infrastrutturare i percorsi ferroviari, in un contesto n cui affermare che girano centinaia e centinaia di milioni di euro è finanche riduttivo.

Bellotti consuma un pranzo di compleanno in uno dei migliori alberghi di Roma, l’Aldrovandi, dove Schiavone è di casa e dove Bellotti invita 10 persone al banchetto di ricorrenza, costruendo un conto che viene poi pagato tranquillamente 20 giorni dopo, e per intero, da Nicola Schiavone. E anche in questa circostanza, è difficile pensare che il sodalizio tra quest’ultimo e Bellotti fosse solamente legato ad un breve e definito percorso finalizzato a fare questa o quest’altra ricotta.

Bellotti ogni mattina andava a versare sul suo conto corrente dei soldi in contanti. Non possiamo certo sostenere che sia colpevole di associazione a delinquere ma possiamo sostenere, come sostiene il gip, che sussistono i gravi indizi di colpevolezza e che al di là di quello che decideranno i tribunali, se questo fosse stato un reato giudicato da una giuria popolare, noi di CasertaCe, facendone parte, avremmo optato sicuramente per la colpevolezza del Bellotti.

Gli ultimi indagati per associazione a delinquere sono il già citato Umberto Di Girolamo, cognato di Leo Caldieri, l’avvocato d’affari napoletano Carlo Giardino, il commercialista Carlo Pennino, la dipendente di TEC Sabina Visone, la quale effettivamente un ruolo non comune ce l’ha e che riesce ad ottenere da Schiavone anche l’assunzione del figlio Mattia Errico, cioè di colui che consegna la bustarella a Luciano Loiacono, figlio del dirigente Pugliese di Rfi Leonardo Loiacono, e infine, sempre rimanendo alle contestazioni formulate dalla Dda, per il reato di associazione, agli imprenditori Ciro Ferone e Crescenzo De Vito. Quest’ultimo è colui che avverte Nicola Schiavone della indagine in corso da parte della Dda e da parte dei carabinieri del Nucleo investigativo di Caserta. Una fuga di notizie che lo vede oggi imputato, in un procedimento separato, insieme al funzionario della banca di Torre del Greco che lo avvertì dell’attività dei carabinieri.

Ma nè De Vito nè tantomeno Ferone, il quale parla anche male di Schiavone in alcune intercettazioni, esistono elementi fondati per considerarli parte di un’associazione a delinquere. Sono partner di Schiavone attraverso loro aziende di cui non sono certo prestanome, al contrario, per quanto riguarda Ferone, aziende di lunghissima tradizione e dotate di fortissime basi economico finanziarie.

Il De Girolamo viene interrogato dai carabinieri in occasione delle perquisizioni. Accoglie i militari con i vestiti dell’operaio e dichiara immediatamente che ha accettato di fare l’amministratore della Itep per arrotondare lo stipendio. Insomma, ipotizzare una partecipazione attiva ad un’associazione a delinquere è sembrato eccessivo e comunque non fondato agli occhi del gip del tribunale di napoli.

Per quanto riguarda infine l’avvocato Giardino e il commercialista Pennino, il giudice Giovanna Cervo considera deboli e poco fondate anche le contestazioni sui reati scopo in quanto la circostanza che le sedi di certe società fossero localizzate presso lo studio professionale di Pennino, non rappresenta una procedura anomale ma al contrario stabilmente applicata nei rapporti tra professionisti e le aziende che questi assistono.

Giardino, secondo il gip, è solamente l’avvocato di Schiavone. Il fatto che assecondi o dia dei consigli magari non commendevoli, è decisamente poco per renderlo parte di un’associazione a delinquere e anche forse per condannarlo per uno dei reati a questa connessi.

QU SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA

Testata registrata presso il tribunale di BENEVENTO con nr. 7 del 02/09/2013